BUFALA VERGOGNOSO! L’INSALATA FINTA CHE CI FANNO MANGIARE!

BUFALA VERGOGNOSO! L’INSALATA FINTA CHE CI FANNO MANGIARE!

Gennaio 19, 2017 0 Di bufalepertuttiigusti

INSALATA FINTA

VERGOGNOSO! L’INSALATA FINTA CHE CI FANNO MANGIARE! è il titolo di questa bufala ormai diventata virale, diffusa dal sito WHAT NEWS.

L’articolo è stato condiviso da migliaia di utenti e poi rimosso dal sito, ma il video resta visibile sulla pagina facebook di what news. Il video in questione è questo:

Nel video si vede un processo artificiale con il quale in pochi secondi viene realizzata una riproduzione molto realistica di un insalata.

Sulla pagina il video viene presentato con un titolo eclatante:

VERGOGNOSO! L’INSALATA FINTA CHE CI FANNO MANGIARE!

Alludendo al fatto che questa riproduzione artificiale finisca poi sulle nostre tavole. Come si vede in questa schermata attualmente il video è stato visto da quasi 900.000 persone e condiviso da quasi 18.000 utentiinsalata finta

In realtà il video mostra la realizzazione di un sampuru, ovvero una riproduzione fedele in plastica di un alimento, che servirà insieme ad altri per realizzare dei “piatti campione” da esporre nella vetrina di un ristorante. In pratica questa insalata finta sarà parte di un piatto espositivo di un ristorante.

cibo-finto-02

Come ben spiega questo articolo del FATTO QUOTIDIANO:

Coreografiche composizioni di sushi e sashimi, fumanti porzioni di ramen, ma anche dolci e gelati al tè verde, nonché italianissimi spaghetti con tanto di forchetta a mezz’aria. Persino le birre. I sudditi del Sol Levante, maniaci dell’estetica e dell’arte del packaging, riproducono fedelmente, in purissima plastica, tutto il cibo giapponese che poi servono – realmente, e con grande maestria – sulle tavole dei ristoranti. E non si tratta di una moda recente, anzi. I sampuru (dall’inglese sample, “modello”) hanno una tradizione lunga quasi un secolo. A discapito di quanto si possa pensare, in origine non sono stati inventati per rendere la vita più semplice ai turisti. Ovviamente questi ne approfittano, dato che nella maggior parte dei casi poco conoscono dell’idioma a parte “arigatò” e incontrano evidenti difficoltà davanti a menu non sempre scritti anche in inglese.

A Tokyo e nelle altre città giapponesi, in realtà, guardare nelle vetrine dei locali piatti che sembrano veri e scegliere cosa mangiare in base al cibo fake più allettante è abitudine consolidata. La storia è andata così: nel periodo della restaurazione Meiji, ovvero a cavallo fra Ottocento e Novecento, i giapponesi cominciano ad avere contatti con l’Occidente, e oltre ai modelli politici e sociali importano anche alcuni cibi. Ma gli avventori delle locande diffidano dei nuovi sapori e su questo fronte gli affari non vanno granché. L’idea di spiegare visivamente le novità culinarie creando piatti in cera viene, negli anni Trenta, a tale Takizo Iwasaki (poi fondatore della Iwasaki Be-I, attualmente leader nel settore), che costruisce un’omelette di riso tale e quale a una commestibile. È da questa trovata, accolta con successo dai ristoratori di Tokyo e dintorni e dai loro clienti, che da lì a breve è nata una tradizione artigiana che sconfina nell’arte, tanto che alcuni esemplari sono finiti addirittura nelle bacheche del Victoria and Albert Museum di Londra. Per noi occidentali, abituati a réclame che “hanno il solo scopo di rappresentare il prodotto” è impresa ardua comprendere come le imitazioni in plastica (che ha ormai in gran parte sostituito la cera) possano invece avere lo scopo di avvicinarsi il più possibile al reale: un giapponese che si rispetti desidera che sia il pasto che mangerà a dover assomigliare come una goccia d’acqua al suo sampuru, e non certo il contrario.

Quello che noi etichettiamo come cattivo gusto – a chi farebbe gola un piatto di tagliatelle al ragù lucido e inodore, esposto dietro a una lastra di vetro? – per loro è sinonimo di qualità. Sono i ristoranti di alto livello, infatti, quelli che vantano le imitazioni più somiglianti al reale e soprattutto le più preziose. Per farsi un’idea dei prezzi: un minuscolo portachiavi (ebbene sì, esistono anche i gadget fatti col cibo di plastica) decorato con un pezzetto di finto sushi costa 1000 yen, che corrispondono all’incirca ai nostri dieci euro. Un ristoratore che si faccia rifare artigianalmente l’intero menu può spendere fino a un milione di yen.

Non si tratta quindi di cibo destinato al consumo umano, anche perché sia al tatto che al gusto sarebbe evidente che si tratta insalata finta, fatta di plastica.